Artista di stanza a Los Angeles, Matthew Grabelsky combina la tecnica della pittura iperrealistica con il gusto surreale per le giustapposizioni improbabili. Cresciuto a New York, Grabelsky utilizza il mondo della metropolitana come scenario per le sue illogiche e affascinanti tele.



Due lauree: una in storia dell’arte e l’altra in astrofisica. Ha trascorso quattro anni a Firenze per studiare le tecniche del disegno classico, a cui è seguito un altrettanto lungo soggiorno a Parigi. La scienza gli ha insegnato come osservare la realtà e l’arte gli ha permesso di esprimere il suo rapporto con il mondo.



Il suo lavoro si concentra sulla combinazione del mondo fisico con immagini tratte dalla mitologia, i sogni e le fiabe. I suoi dipinti non sono da considerare come semplice frutto della fantasia o come allegoria, ma piuttosto come l’enigmatico incontro fra le esperienze quotidiane con il subconscio.



Le opere di Grabelsky mettono in scena il contrasto tra la piattezza della routine e la presenza dell’inaspettato: in metro, spesso a leggere riviste o giornali, coppie e bambini sono strani ibridi con teste di animali. Cervi, orsi, elefanti, tigri – in mezzo a tutto il resto – non sembrano affatto a disagio nella nostra realtà.



Le teste di animale hanno un aspetto totemico, archetipi di qualcosa di primordiale e antico. Per l’artista l’animale diventa una manifestazione del funzionamento interno del subconscio rivelando le identità latenti e le motivazioni che si aggirano oltre la compostezza delle maschere umane.
Il contrasto creato tra la veridicità visiva delle opere e l’improbabilità surreale del loro contenuto cattura lo spettatore in un momento prolungato di incredulità.




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